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2009

PRONTI A DARE LA VITA AL POSTO DEI CIVILI

Intervista a Gianfranco Paglia, ufficiale dei parà e parlamentare Pdl

Paglia è in visita al contingente italiano in Afghanistan con la Commissione Difesa della Camera.

- L’incidente di domenica è stato un brutto colpo?

La sensibilità del soldato italiano è nota a tutti. I volti e gli sguardi dei militari parlano chiaro. Si spera sempre che certi episodi non accadano mai.

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-Com’è la situazione ora?

E’ quella che conosciamo tutti benissimo. La tensione è sempre alta. Episodi come quello di domenica non sono mai accaduti ai nostri soldati. E questa la dice lunga sulla professionalità dei nostri militari. Purtroppo è difficile evitare che queste cose succedano. La fatalità a giocato un ruolo determinante. Il padre della bimba ha ammesso di non aver visto i segnali di avvertimento. I nostri militari hanno attuato tutte le procedure. Comunque l’indagine è necessaria per capire cosa sia accaduto. C’è da dire che non sempre in questi casi esiste un colpevole.

- Lei in Somalia si è trovato in una situazione simile. Poi al check point Pasta, quando i civili vennero usati come scudi umani si scatenò l’inferno con vittime tra i nostri soldati…

La mia come quella di altri è una scelta di vita. Di professionalità. E’ comunque la dimostrazione che i soldati italiani preferiscono rischiare la propria vita piuttosto che mettere in pericolo quella di civili.


- Questa disgrazia cambierà i rapporti tra i nostri soldati e gli afgani?

Assolutamente no. Poco dopo l’incidente eravamo all’ospedale pediatrico con il sindaco e il governatore di Herat. Non hanno fatto altro che ringraziare per quanto fanno gli italiani. E rispetto a quanto accaduto neppure una parola di biasimo. Non solo ci hanno offerto anche dei regali. Gli afgani sanno benissimo che certe cose possono accadere.

Maurizio Piccirilli per "TEMPO", Martedì 5 Maggio


LA LETTERA di GIANFRANCO PAGLIA

I NOSTRI PARACADUTISTI NON SONO KILLER

Caro Direttore, con grande stupore giovedì sul quotidiano il Giornale ho letto un articolo del giornalista Fausto Biloslavo che mi ha profondamente deluso e amareggiato. Premetto che io ho sempre rispettato il lavoro e l’alta professionalità della maggioranza di coloro che amavo fare i giornalisti, questa volta ritengo che si sia superato il limite della decenza.


Non si possono attaccare i nostri soldati e nello specifico i nostri paracadutisti che ogni giorno onorano la loro uniforme con lealtà ed onore e questo lo fanno semplicemente perché hanno giurato fedeltà alla Patria consapevoli del fatto che il loro giuramento andrà onorato sempre ed ovunque mettendo in gioco molto spesso la propria vita. Il giornalista in questione con grande leggerezza si è permesso di definire i nostri parà dei Killer, senza rendersi conto di scrivere il falso. Le Forze Armate Italiane sono lì per portare la pace e non la morte e non vi è stato nessun cambio di strategie. Nessuno nasconde il fatto che per svolgere il mandato NATO e quindi attenersi a quanto previsto dalla Missione ISAF (assistenza al governo Afgano, nello specifico occupandosi di sicurezza, ricostruzione ed addestramento) è alto il rischio per il Contingente Italiano che spesso è costretto a difendere se stessi e il popolo Afgano con l’uso della forza. Ma in questo articolo non ci si è limitato a definire Killer i nostri soldati ma si è andati oltre enunciando i compiti previsti dai Corpi Speciali appartenenti alla Task Force 45: tutto ciò potrebbe mettere seriamente a rischio la vita di tutti coloro che sono lì. Vi sono cose che meritano il segreto di Stato e non perché si ha paura di dirle o perché si ha voglia di nascondere qualcosa, semplicemente perché vi è il pericolo di ritorsioni. Questo è l’unico modo per cercare di salvaguardare la vita di coloro che rischiano di perderla ogni giorno lontani dalle proprie famiglie e dai propri affetti più cari. Non so quanto le mie parole potranno essere capite da coloro che non conoscono l’eccellente lavoro svolto dai Soldati Italiani, spero però che possano essere comprese da coloro che si occupano di dare informazioni alla gente e che ci si renda conto che anche se un quotidiano come Il Giornale non verrà mai letto dal popolo Afgano non ci si può per questo sentire in diritto di pubblicare qualsiasi cosa pur di vendere qualche copia in più. Chi rischia la vita, col tricolore cucito sulla spalla, non rappresenta governi o ideologie politiche ma rappresenta l’Italia e per questo merita molto ma molto più rispetto e considerazione da parte di tutti. La mia speranza è che una penna non rechi più danni di una granata.

Il Tempo, venerdì 26 giugno


La visita del deputato Paglia (Pdl) ai militari rimasti colpiti nell’attentato in Afghanistan in cui è morto Alessandro Di Lisio

"LE FERITE NON CI FERMERANNO"

Al Celio il racconto: ai rischi siamo preparati ma davanti ai fatti non sai più nulla

"Mi brucia il viso. Voi come state?". Il primo caporalmaggiore Simone Careddu si trascina verso i suoi commilitoni. Il tenente Giacomo Bruno chiama per nome gli altri componenti della pattuglia. L’altro caporale, Andrea Cammarata cerca di prendere una bottiglia d’acqua sotto il sedile del lince ormai a testa in giù sulla road tra Farah ed Herat. Un attentato stile Capaci li ha strappati dalla strada e lanciati in aria con tutto il blindato. Le loro condizioni non sono gravissime, ma per Careddu la situazione si rivelerà più drammatica. L’altro componente la squadra, Alessandro Di Lisio, invece, è rimasto ucciso. Il ricordo di quegli attimi a Farah, ovest dell’Afghanistan, sono nitidi nel racconto dei feriti. A una settimana dall’attentato hanno ricevuto, al Policlinico militare del Celio a Roma, la visita di Gianfranco Paglia, deputato Pdl ma soprattutto e sempre basco amaranto come i tre parà feriti. E come loro ha conosciuto i pericoli e i rischi di una missione in territorio ostile. Missione che indelebilmente ne ha segnato il fisico ma non la morale. "La sua visita ci dà forza e coraggio.



Chi crede in certi valori e ideali e lei, Paglia, per noi li rappresenta, non può che essere orgoglioso di incontrarla in un momento come questo". Il tenente Bruno, immobilizzato al letto parla a nome di tutti gli altri. Careddu è nel reparto terapia intensiva ma anche lui riferisce Paglia "non ha intenzione di mollare. È determinato". I paracadutisti feriti riescono anche a scherzare, messi a loro agio dal generale Giuseppe Valotto comandante del Coi, pure lui al Celio. "Grazie di esserci venuto a raccogliere", dice Cammarata rivolto all’alto ufficiale che dopo l’attentato è andato personalmente a recuperare feriti e vittima in Afghanistan. La pattuglia era in missione "Acrd" acronimo che significa che la squadra stava facendo bonifica da ordigni della strada che sarebbe stata percorsa da un convoglio. "Stavamo attenti al percorso. Ognuno al suo posto come chirurghi prima di entrare in sala operatoria", ricorda Cammarata. Poi il botto e il trascinarsi fuori dal mezzo. "Avrò fatto il mio dovere? Messo in atto tutte le procedure per non mettere a rischio la vita dei miei soldati?" si mortifica il tenente Bruno. "Hai fatto tutto il tuo dovere. Sei un buon ufficiale", lo consola Paglia, maggiore dei paracadutisti e medaglia d’oro. E lui rincuorato: "Va bene. I rischi li conosciamo e ci prepariamo anche psicologicamente ma quando accadono queste cose non sai più nulla. Ma questo non vuol dire che molliamo".

Maurizio Piccirilli per "IL TEMPO", Venerdì 24 Luglio


L’INTERVISTA a Gianfranco Paglia

"NAUSEATO DA CHI SPECULA SUI RAGAZZI DELLA FOLGORE"

Sono nauseato, abbiamo appena sepolto Alessandro Di Lisio, oggi ci sono stati altri soldati feriti e l’ex generale Fabio Mini attacca a testa bassa la Folgore, i comandi militari e il ministro della Difesa. Quell’ex generale mi sembra abbagliato dall’ideologia. L’onorevole Gianfranco Paglia, il tenente dei parà medaglia d’oro della battaglia somala di check point Pasta, oggi membro della commissione Difesa, è infuriato. Le due pagine dell’Espresso in cui l’ex generale Mini accusa la Folgore di "seguire l’onda sciagurata di quelle parti… che assecondano il rambismo" lo hanno lasciato sbigottito e infuriato. "In quell’articolo non c’è un’affermazione che stia in piedi. In Afghanistan le attività sono aumentate non perché c’è la Folgore, ma perché il 20 Agosto ci saranno le elezioni. Le operazioni si intensificano perché gli insorti moltiplicano gli attacchi e il governo afgano ci chiede d’intervenire. Gli scontri si moltiplicano perché i nostri non se ne stanno chiusi nelle basi, ma agiscono sul territorio per garantire la sicurezza dei civili lavorando al fianco dell’esercito nazionale. Accusare il nostro ministro di non fare niente per la sicurezza dei soldati significa scrivere falsità. Sputare veleno da dietro una scrivania mentre i nostri rischiano la vita in prima linea è ingiusto e scorretto".



Per Mini siamo prigionieri della strategia americana…

"Un ex generale deve sapere che la missione Isaf è una missione Nato e non ha nulla a che fare con la vecchia “Enduring freedom” a controllo americano. Noi appoggiamo il governo afgano, non gli americani".

A dar retta a Mini, i parà sono immersi nella retorica delle maniere spicce, dello show di forza fisica e armata.

"Si dovrebbe vergognare. Le sue affermazioni appartengono al repertorio d’ideologie retrò, forse la mancata candidatura nel Pd gli ha causato qualche squilibrio. I suoi toni sono assolutamente stonati. Recentemente il generale Del Vecchio è venuto con me e il ministro della Difesa in Afghanistan nell’ambito di una visita assolutamente “bipartisan”. In Parlamento quello è ormai il clima che circonda la missione in Afghanistan".

Secondo Mini i nostri soldati "hanno talvolta guidato quelle parti dello stesso esercito afghano che odiano altri afghani", contribuendo ad incrementare le tensioni etniche…

"Il governatore di Herat in visita in Italia ha elogiato davanti alle commissioni Esteri e Difesa i nostri soldati e il loro comandante generale, Rosario Castellano. Ricordando l’incidente della bambina uccisa per errore, ha parlato di condotta esemplare. Quella resta una lezione per tutti, anche per Mini":

Gian Micalessin per "Il Giornale", Domenica 26 Luglio


Strage a Kabul, Kamikaze contro i nostri militari. Uccisi sei parà della Folgore

IL TERRORISMO NON DEVE VINCERE

Squilla il telefonino, guardo il numero: è una dei miei amici della Folgore che si trova con gli altri a Kabul. Le poche notizie che riesce a dare sono agghiaccianti. Oggi è una tragica giornata, ho perso degli amici, sono morti i miei ragazzi. Tutto ciò non deve intimorirci, il terrorismo non può e non deve vincere. Il dovere di tutti noi è di restare vicini ai nostri soldati, dimostrare che il loro sacrificio non sarà vano. I soldati italiani conoscono i rischi cui vanno incontro e per questo sono addestrati, purtroppo non esiste difesa contro chi in maniera subdola, da veri vigliacchi, attenta alla loro vita mettendo ordigni o facendosi saltare in aria.



Chi, in questi momenti chiede maggiore sicurezza, parla per il solo gusto di farlo. Chi in queste ore cercherà un colpevole lo farà per il solo piacere di criticare senza capire che non ha senso. Ora più che mai i nostri soldati devono sentire la vicinanza di tutta la Nazione. Operare in un paese straniero, rischiare la vita ogni giorno e poi leggere o sentire che da alcune parti viene messo in dubbio l’efficacia del proprio operato è deprimente, sconfortante per chi rischia in prima persona. Prima di giudicare andiamo sul campo, rendiamoci realmente conto dell’aiuto che i nostri militari danno ad una popolazione più sfortunata di noi e solo dopo possiamo dare un giudizio. Verrà fuori il discorso della sicurezza dei nostri mezzi: il Lince in questo momento è il mezzo più sicuro. Se poi una macchina carica con 150 chili di esplosivo ti viene contro non vi è difesa possibile. Oggi ci sarà chi chiederà il ritiro del contingente italiano senza capire che sarebbe una sconfitta per tutti: i nostri soldati non amano le sconfitte. Conosco molto bene tutti i ragazzi che operano in quel territorio, se si potesse chiedere loro se restare o rientrare la risposta sarebbe unica:

restiamo, FOLGORE.

Gianfranco Paglia

Medaglia d’oro al Valor Militare

Il Tempo, Venerdì 18 Settembre


"SI PARTE PERCHE’ CI SI CREDE"

IL DEPUTATO – EROE ZITTISCE LA BANDA FLORIS

Com’è il mondo dal punto di vista del soldato? "Non si va in guerra per il posto di lavoro, non si è così stupidi da indossare l’uniforme e partire sapendo di voler morire. Si parte perché ci si crede…". Stacco di telecamere in un silenzio irreale. Giovanni Floris è spiazzato in un secondo: "…E vale la morte tutto questo?". Risposta, secca: "Sicuramente sì. Per chi crede nella lealtà, nell’onore e nell’amor di Patria…". Lo studio di Ballarò per un attimo, in diretta, s’avvolge d’un silenzio timidamente patriottico. Avviene proprio, mentre va in onda – l’altra sera a Ballarò – questo dialogo serrato tra il conduttore Floris e Gianfranco Paglia, deputato Pdl ed ex capitano dei parà, convocato in studio per parlare d’Afghanistan. Paglia è un signore coi capelli a spazzola e lo sguardo a tenaglia, che si muove su una sedia a rotelle. Colonna vertebrale spezzata da un proiettile. A 23 anni, da paracadutista nella missione Ibis in Somalia, dopo essere riuscito a salvare quattro commilitoni da una pioggia di fuoco, s’è ritrovato in una clinica svizzera con gambe e braccia paralizzate. La sua storia è nota. È stata raccontata mille volte, la Rai ci ha pure tratto una fiction “Le ali”.


Dell’odissea di Paglia, praticamente si sa tutto, la lunga riabilitazione, il recupero degli arti superiori, l’attaccamento all’esercito che a tutt’oggi lo porta all’estero in missioni di pace, la candidatura, l’elezione e l’inserimento in commissione Difesa su richiesta di Gianfranco Fini che vide in lui il megafono naturale dei commilitoni, e al tempo stesso, dei portatori di handicap. Di Paglia, oggi, i suoi detrattori, dicono anche che posa permettersi di dire di tutto. E vivaddio che Paglia li prenda alla lettera. A Ballerò, l’altra sera, il soldato ha dato voce a valori antichi e polverosi che parevano dispersi, sminuzzati nell’inevitabilità della politica: onore, rispetto per la bandiera, senso di patria. Sono valori, se ce li hai, ce li hai, non li puoi insegnare, con Floris che – quasi, impercettibilmente, per un attimo pareva annuire. È stata quella del soldato, una lezione agli altri ospiti di Ballarò, politici di professione e aspiranti tali. La difesa di un mondo antico proferita con tanta forza dinnanzi alla telecamera è, a suo modo, un evento. La vera notizia è che il senso di patria, a volte, è telegenico. Come diceva Toni Capuozzo a proposito dei fanti di Nassiriya: "Questi sono italiani migliori della media". Avercene…

FRANCESCO SPECCHIA per "LIBERO", Sabato 19 settembre